giovedì 17 settembre 2009

Viaggi

A volte mi accade di dirigere il mio sguardo al cielo e pensare al cielo che vedrei se mi trovassi in quello stesso momento in un altro posto...
E quando ero veramente in un altro posto, guardavo il cielo, soprattutto quello serale, preferibilmente notturno, e pensavo al cielo in un altro posto ancora. E volevo quasi toccare il blu che vedevo, anzi volevo afferrarlo, tenerlo nel mio microscopico pugno per non perderlo, per non dovermene separare più. E invece il momento della separazione inesorabilmente giungeva e con lui la mia più acuta nostalgia per un posto non mio, mai stato mio, per una terra di transito sotto i miei piedi frettolosi di approdare di nuovo a casa e di ripartire per una nuova meta.
Il viaggiatore può essere attento, ditratto, compagnone, solitario, allegro, malinconico, risoluto, istintivo... tutto insomma eccetto che nostalgico. Come può una persona che ama il transito, il passaggio, il moto attaccarsi ai luoghi, alle cose, alle immagini, ai volti, agli odori, alle atmosfere, alle sensazioni, ai tramonti, alle chiese e ai castelli, ai tetti, ai fiori e agli animali dei luoghi in cui soggiorna anche solo pochi giorni?
E ancora come può questa nostalgia morbosa e cronica conciliarsi con il desiderio sempre rinnovato di migrare, di curiosare, di esplorare, di assaporare, di immergersi in città mai viste, tutte diverse, in cui la gente sembra ora domandarti, ora correggerti, ora comandarti, ora applaudirti, ora consigliarti e invece sta semplicemente parlando in una lingua non tua che accarezza il tuo orecchio intimidito.
Eppure è possibile essere nostalgici di tutto, anche di un semplice respiro, e instancabili ricercatori di profumi nuovi e di luci mai viste, di se stessi pellegrini tra volti estranei e altri, ma allo stesso tempo familiari e prossimi, perchè umani come i nostri.
Cerco di inspirare quanta più aria possibile per portarla con me a casa, faccio mille foto a tutto, conservo tutto di tutto, metto nero su bianco pagine di diario che immortalino con parole, come pennellate su tela,ciò che i miei occhi hanno visto, le mie orecchie udito, le mie mani sfiorato. Magari scrivo anche qualche verso che nella sua semplicità imprigioni la complessità trovata.
Riflettendo sulla mia arte di traduzione e archiviazione dei miei viaggi, scopro una scarsa fiducia nelle mie capacità mnemoniche nonchè nella forza penetrante e permanente delle emozioni.
Ma anche il mio solito timore nostalgico per il distacco e la perdita delle cose.

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