giovedì 17 settembre 2009

Non vivo, fluttuo.

Fluttuare.
Il verbo che meglio mi descrive in questo periodo. Quale periodo? Quale l'inizio di questo periodo? Non so dirlo con precisione. Non ricordo il suo inizio o meglio non so in cosa individuarne i primi sintoni, segnali.
Lentamente mi sono sollevata da terra. I miei piedi se ne sono staccati molto lentamente, prima di pochi centimetri, poi metri. I miei occhi hanno visto allontanarsi le cose, le persone più vicine e poi inaspettatamente comparire, nella visuale ora più ampia, cose e persone prima più lontane, note e poi anche estranee.
Ho avvertito il mio corpo sempre più leggero, libero, ma anche lento, ovattato nei movimenti, quasi protagonista di una scena rallentata.
La mia mente da rumorosa è divenuta eco di mormorìi, di bisbiglìi, di silenziosi sussurri.
Un nuovo mondo si è aperto ai miei occhi, nuove angolazioni, nuove prospettive, nuovi colori, nuove immagini. La mente ha partorito nuovi e inaspettati pensieri.
Un parto continuo, sempre lento, nell'acqua, ma continuo.
E loro, i neonati pensieri, non hanno ancora ben definite le loro forme, articolazioni, dettagli. Sono volti e suoni e luci e atmosfere lontane, mute, opache, confortanti e cullanti la mia nuova incertezza nel muovere passi non più supportati dal duro e certo suolo reale, bensì da soffici, alternanti, inconsistenti nuvole bianche.
Guardo i miei pensieri, non riuscendo a sentirli. Sono muti. Sono immagini e la mia mente un grande schermo bianco.
Cosa vedo? Non riesco a dirlo. Per la prima volta non so tradurre in parole ciò che vedo, ciò che la mia mente pensa anche se in formato immagine.
Sono disorientata. La mia spada è senza punta. Ho la mia arma prediletta nelle guerre quotidiane al pieno delle sue potenzialità.
La parola.
Se non posso tradurre i pensieri in parola, non posso nemmeno leggerli, analizzarli, comprenderli. E resto in questo stallo continuo. Paralizzata dall'impotenza di capire e razionalizzare ciò che mi succede, il mio volo sul mondo, il mio fluttuare.
E quindi fluttuo ancora di più. Sono sospesa non solo sul mondo, ma anche su me stessa. Non riesco a sentirmi, a vedermi, a trovarmi. Nemmeno a cercarmi.
Provo a ripartire dall'inizio: cosa vedo più di prima?
Gli altri. Cose, persone, mondo prima lontani ed esclusi dal mio ristretto campo visivo.
Ora fluttuo nell'aria. Cosa vedo? Tutto. Riparto da qui. Dal tutto.
E sono fuori di me.
Vedo la gente. Prima da lontano, poi mi avvicino e la osservo. Volto per volto, sguardo per sguardo, punto i miei occhi su ogni singola piega del viso e cerco di carpire ogni pensiero, ogni sfumatura che una semplice linea sul volto può rivelare. Le espressioni evidenti e quelle latenti sono ottimi indizi per capire e conoscere.
Poi i gesti, i movimenti delle mani, le gambe accavallate, il piede che picchia ritmincamente il suolo, il dito che tamburella sul tavolo.
L'abbigliamento, gli accessori, i capelli, il cellulare ultimo modello, le chiavi, tante e tanti o pochi o nessun ciondolo attaccato al portachiavi. I colori. Degli occhi, della maglietta, del bordo della camicia; i jeans larghi, il tacco alto, lo smalto alle unghie delle mani, il portafogli nella tasca posteriore dei jeans, nessun portafoglio.
Dettagli. Parlano ai miei occhi attenti ed esperti di letture difficili.
Mi focalizzo sulla gente, sugli amici. Vecchi: non li ho mai letti così attentamente e ne scopro volti nuovi; nuovi: non li ho mai letti, perchè non li conoscevo affatto, ne costruisco un'immagine; corrisponderà alla realtà?
Gli estranei: li scruto con curiosità e immagino storie, vite, pensieri, relazioni umane.
Me stessa: impossibile vedermi. Guardo gli occhi degli altri e mi vedo nei loro.
Cerco di ricostruire Claudia dalle parole, dalle immagini, dalle impressioni che gli altri hanno di me. Dai legami che loro instaurano con me.
Mi scruto nei miei rapporti con gli altri, mi conosco attraverso il mio riflesso nel mondo esterno.
Sono gli altri il mio interlocutore, il mio specchio, il mio riflesso, il mio metro, il mio oggetto e soggetto di indagine.
Mi cerco nelle poesie, nelle canzoni, nelle parole dette e scritte.
Ma non nelle mie. Non mi trovo nelle mie, non riesco a dirmi a parole mie, non riesco a vedermi, non riesco a pensarmi. Fino ad oggi, quando inaspettatamente e quasi automaticamente ho aperto questo blog sul quale non scrivevo da tempo, non usciva dalla mia penna una sola pagina su di me, analitica dei miei pensieri. E questa pagina è troppo confidenziale per un blog. Indice della mancanza di punti, dei miei cardini. Li ho persi.
Lei non è più da nessuna parte: sulla terra, nelle sue parole, con i suoi vecchi amici, nel suo corpo, nella sua mente, nella sua vita.
Fluttua.

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