giovedì 26 gennaio 2012

Considerazioni su un dramma a tanti atti

Una serie di "successi" accademici può compensare un unico grandissimo insuccesso: la vita?

Mi sento così: come una successione senza soluzione di continuità di successi accademici, scolastici, quasi rituali dovuti nella vita di una giovane studentessa. E basta. Non sono altro. O meglio sono tanto altro. Una serie altrettanto lunga di insuccessi. O meglio un unico grandissimo insuccesso: tutta la mia vita. Tutto il resto della mia vita. Ossia quasi tutto. Amicizia, Famiglia, Amore, Equilibrio...
E quando ti rendi conto di una cosa del genere cosa fai? Cosa puoi fare?
La risposta immediata e più "facile" sarebbe: "Ammazzati, no?!"
Ma anche qui ho riportato un insuccesso, anzi almeno due insuccessi. L'ultimo dei quali era un quasi successo.
Claudia sei matta. Tutta matta stamattina. O meglio depressa. Ecco l'aggettivo più attuale del momento: DEPRESSO. Troppo stress, la vita d'oggi è frenetica, stressante, non lascia spazio al pensiero. E meno male! Se no figurati quanto altro avrei modo di pensare!
Ad ogni modo, no, non sono depressa, ma sufficientemente realistica, considerando il mio presente.

Tempo fa postai qui un intervento molto descrittivo di me stessa, della me che ho avuto modo di osservare in questi ultimi anni: sono un ciclone distruttore. Di tutte le cose che incontro durante la mia vita. Di tutte le cose belle, però, perché quelle brutte le cerco e le desidero con tutta me stessa. Una sorta di tendenza autodistruttiva, decisamente opposta al comune conatus sese serbandi tipico e connaturato al genere umano. Perché? Forse perché in fondo non mi voglio bene. Non voglio bene a me stessa? Può essere. E così, anche se inconsciamente mi faccio male. E le cose facili mai. Le respingo come l'acqua l'olio. E le cose difficili sempre. Le attiro come calamita il ferro. -e uso il termine genericissimo e indefinito "cose" per designare qualsiasi tipo di cosa, vivente e non, circostanza od oggetto, sentimento o stato emotivo-
E quindi? L'atto estremo del non volersi bene sarebbe -e ci arriviamo di nuovo- la morte. Ma non è neanche così, perché la morte in un certo senso sarebbe una grazia per me da me stessa. Un graziarmi da me stessa. Una liberazione. E no. Il mio masochismo naturale e istintivo non mi permette neanche questo!
Quindi? Torno a dire: E QUINDI? Continuerò per tutta la vita così? A costruire costruzioni di carta o sabbia o materiale appena appena più resistente per poi buttarle giù con un sol soffio e una rapidità comune a pochissimi?
Sarà mai una vita questa? O piuttosto un dramma a tanti atti?

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